Luoghi e fatti di don de Roja in una mostra fotografica
«Costruire sempre». È bello e vero il titolo della mostra dedicata a don Emilio de Roja (1919-1992) allestita in occasione dell’happening “Da dove si riparte a costruire” del Centro culturale il Villaggio che si chiude oggi con ospiti, tra gli altri, l’imprenditore Mario Andretta e lo scrittore Daniele Mencarelli. Spettacoli di Pietro Sarubbi e Daniele Cortesi (programma completo su www.ilvillaggio.org ).
È bello perché esprime in modo sintetico la vita di un uomo che non si è mai tirato indietro davanti ad alcune delle sfide più difficili che ha attraversato il nostro Paese. Ed è vero perché propone al visitatore un esempio luminoso a cui guardare in un periodo complesso come quello che stiamo attraversando.
La mostra nasce proprio per questo: «cercare i luoghi e i fatti in cui è custodito il tesoro» di don Emilio, per «imparare dalla sua esperienza come si possa ripartire ancora una volta, così come lui ha fatto in tante occasioni della sua vita».
Sesto di nove figli, don Emilio era nato nel 1919 per poi entrare in seminario in giovanissima età. Le vicende della Seconda guerra mondiale lasciarono un segno indelebile sulla sua vita. I tre fratelli maggiori, che vivevano a Klagenfurt ed erano cittadini austriaci, furono arruolati nella Wermacht e persero la vita in combattimento. Don Emilio invece fu ordinato sacerdote nel 1941. Due anni dopo il Friuli, con l’armistizio e l’occupazione tedesca, diventa zona di guerra partigiana. Con l’appoggio del vescovo di Udine, monsignor Giuseppe Nogara, don Emilio entra nelle formazioni Osoppo insieme ad altri circa 30 sacerdoti impiegati come cappellani, con compiti di fiancheggiamento o, in qualche caso, come comandanti di reparti.
Finita la guerra, don Emilio chiese di essere impegnato nelle opere di carità, sempre più necessarie per riscostruire un territorio distrutto fisicamente e moralmente. La miseria costrinse molti a prendere la via dell’emigrazione, ma don Emilio comprese che per risolvere il problema dell’occupazione era necessario prima di tutto garantire una formazione professionale. Nasceva così per sua iniziativa la scuola professionale al Villaggio San Domenico, alla quale faceva seguito la Casa dell’Immacolata per ospitare ragazzi in condizioni di disagio familiare. E furono proprio i ragazzi di don Emilio a dare un contributo importante nell’immagazzinare e smistare parte degli ingenti aiuti che giunsero da tutto il mondo dopo il terremoto che colpì il Friuli nel 1976. Don Emilio morì a Udine nel febbraio del 1992. Poche settimane dopo, Papa Giovanni Paolo II visitò la Casa dell’Immacolata e lo ricordò così: «Generoso apostolo della carità, infiammato dall’amore per il prossimo, ha cercato sempre di recare aiuto a chiunque si trovasse in difficoltà, testimone solido e concreto della Divina predilezione per gli ultimi e che viene considerato come esempio di buon Samaritano».