Una vita per gli altri Don Emilio de Roja
TRATTO DALLA PUBBLICAZIONE BUJE PORE NUJE
Numero unico per la Sagra di San Giuseppe Ursinins Piccolo 1992
Una vita per gli altri Don Emilio de Roja
di Mario Savonitto
In attesa della stampa dell’articolo, il 3 Febbraio don Emilio, zitto zitto ci ha lasciati! Non avremmo mai pensato che questo nostro affettuoso ricordo sarebbe diventato l’ultimo mandi per un amico… Una folla di gente d’ogni condizione sociale ha accompagnato don Emilio per dargli l’ultimo saluto nel duomo di Udine dove un commosso Arcivescovo Battisti lo ha definito un: “artista nel restauro morale dell’uomo”. Buia aggiunge il suo nome nel libro d’oro dei suoi uomini più grandi.
Don Emilio de Roja, cittadino di Buia a partire dal 1945, ha celebrato e ricordato lo scorso anno il suo cinquantesimo della prima Messa nel suo paese: nella sua parrocchia di Urbignacco e di Madonna, dove è maturata la sua vocazione di farsi sacerdote ed è stato consacrato.
Prima delle celebrazioni in Parrocchia, la famiglia Savonitti di Urbignacco, ha proposto a parenti ed amici un viaggio di nozze d’oro, un pellegrinaggio di ringraziamento in Carinzia dove è nato Emilio nel 1919, con tappa di preghiera a Gurk, dove il Papa incontrò, alcuni anni fa, Tedeschi, Sloveni e Friulani.
Eravamo in 130, fra parenti ed amici di tutta Buia a pregare in friulano col messale che don Emilio, sulle corriere, aveva a tutti donato. Lui era commosso, come noi tutti, nel ricordare tante vicende, specialmente della sua prima gioventù, coi tanti amici del paese che ha trovati, a sorpresa, nella comitiva.
Durante la Messa, nella grande cattedrale dorata di Gurk, don Emilio ci ha fatto ricordare i suoi tribolati genitori, i suoi tre fratelli morti in guerra, l’affettuosa accoglienza nella numerosa famiglia dei Savonitti nel paese di Urbignacco e di Madonna dove è giunto nel 1927 a causa delle disgrazie e delle malattie dei suoi famigliari che lo avevano privato dell’affetto di padre e madre.
Ci ha ricordati i suoi compagni della prima scuola, dei suoi maestri, specialmente il sig. Vriz e la maestra Emma de Vanzee, il suo parroco don Michele Mattioni che ha garantito, innanzi al Vescovo
sulla vocazione del fanciullo; don Modesto Pez il cappellano; i suoi amici del seminario; lo zio Emilio cieco; le zie Adele e Caterina, le guardiane della fede in famiglia e nel paese; e tutto il numeroso gruppo di fanciulli nel cortile di Cinai (otto, nove bambini sotto i dieci anni) di anche lui faceva parte. Così da un bambino abbandonato, giunto dall’Austria a 8 anni, nella casa degli zii e cugini, ( con altri quattro fratelli e sorelle), la Provvidenza ci ha donato don Emilio a 22 anni (1941).
Lui si è messo subito al servizio di chi aveva bisogno, prima in tempo di guerra e poi, in tempo di pace e ricostruzione, fino a giungere a quelle opere conosciute coi nomi di: “Scuola d’Arte e Mestieri San Domenico”, oggi “Casa dell’Immacolata” aperta giorno e notte ad accogliere, proteggere e possibilmente avviare ad un mestiere, ad un posto di lavoro, i giovani in maggiori difficoltà e più dimenticati, della Regione e dall’estero.
Giovani in difficoltà proprio in quanto mai hanno sentito il calore di una famiglia o non hanno avuto proprio genitori; giovani ribelli trascinati da cattive compagnie o, peggio. Lui li ascolta, dà loro confidenza, fiducia, affetto, li attende, con infinita pazienza, a buone conclusioni,
poiché anche loro son pur sempre “figli di Dio”, sono “fratelli”!!! e le conclusioni, più di qualche volta, sono state “autentici successi”, “veri recuperi alla vita e alla società” (parole di don Emilio).
In tempo di guerra!… Se dovessi raccontarvi tutto ciò che ha fatto il nostro prete in tempo di guerra, riempirebbe tutto “Buje pore nuje”. Quando la guerra più si accaniva contro i civili, don Emilio ha sfoderata una valentia ed una ingegnosità formidabili per intrufolarsi dentro i posti di comando tedeschi, per cercar d’evitare i famigerati “rastrellamenti e rappresaglie”. Vi faccio solo qualche nome di persone di Buia, sicuramente salvate dalla deportazione, perché Lui le aveva avvertite in tempo di scappare: il medico Vidoni, mons. Chitussi, il col.llo Gino Mittoni ed altri.
E gente che ha fatta scarcerare dalla prigione di via Spalato dalle grinfie di Stanglizza?
Ma Lui, don Emilio, non vuol saperne di esser stato solo un partigiano, solo un patriota degno di medaglia, per Lui il titolo che ci tiene gli venga riconosciuto è solo quello d’esser stato e d’essere per tutti un sacerdote. Spesso si è trovato tra due fuochi in mezzo a delle sparatorie fra partigiani e tedeschi, ha medicato ferite fisiche e morali d’ogni sorte, assoluzioni in extremis…mai curandosi di mettere a rischio la propria vita!
Terminata la guerra, era necessario leccarsi le piaghe, gravi e numerose specialmente tra i giovani e nelle famiglie! Da qui parte l’impegno pastorale di don Emilio, viene nominato dal Vescovo, Vicario a San Domenico, un borgo di Udine fra i più poveri di risorse e più ricco di
disoccupati! Le case erano delle più misere, le famiglie tutte una promiscuità: miseria materiale e morale. Lui non si arrese! Immediatamente intuì che bisognava iniziare da una scuola per grandi e piccoli e si mise a costruire, senza soldi, con le sole braccia degli abitanti del posto e con qualche buon capo, amico, come aiutante, (senza nessuna licenza… altrimenti si perdeva solo tempo…) una
“scuola professionale di arti e mestieri”. Come Don Bosco!!! L’edificio è cresciuto in un momento e in un momento ha iniziato a funzionare con sezioni per falegnami, muratori, fabbri e sarti (giovani e ragazze, uomini e donne). Nel 1948/49 gli iscritti alla scuola superarono i 200: venivano dalla Provincia e da fuori! E come esercizio pratico e compito sul campo dei giovani apprendisti, le baracche del Villaggio di San Domenico, in poco tempo, sono dapprima diventate casette e, poco dopo, case-case; ed oggi è un quartiere della miglior periferia di Udine. Andar a vedere per credere.
Dopo le 36 case per le famiglie di San Domenico, siamo alla fine degli anni 50, don Emilio,
con un gruppetto di collaboratori volonterosi, ha dovuto provvedere a costruire una nuova casa/convitto ed una nuova scuola più grande per giovani ed adulti che sempre più numerosi chiedevano d’imparare un mestiere. I primi che lo avevano imparato lo insegnavano ai nuovi arrivati, altri, già perfezionati nel mestiere, venivano personalmente accompagnati da don Emilio nelle imprese d’ogni specialità, in Regione ed altrove in Italia, fino all’estero (Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, ed altri paesi). Oggi molti ritornano sposati o non sposati, a ringraziare riconoscenti per il bene ricevuto.
Questa casa/convitto, questa scuola nuova, ben fornita di laboratori, ha preso il nome di Casa dell’Immacolata, perché, dice don Emilio: “a quello che riconosce e rispetta una Madre (l’Immacolata), e s’impegna, non può andar male!” ed i ragazzi e i giovani che vanno a cercare don Emilio, sono in maggioranza, senza madre né padre.
Ad un certo punto però, le fatture dei fornitori di materiale da costruzione s’ammucchiavano
e bisognava pur onorarle!!! Per sbarcare il lunario don Emilio faceva quotidianamente i conti con la Provvidenza… e con le cambiali. I benefattori privati erano di tutte le specie, dalle Banche alla povera casalinga che vuotava il portamonete nelle mani del sacerdote che insegnava un mestiere a
quei ragazzi. Dalle cambiali si passò ai protesti, alle ingiunzioni, ai sequestri e Lui… fuori e dentro nelle Preture, per i Tribunali, per le Procure (anche per colpa dei suoi ragazzi che ogni tanto o .. . spesso.. gli combinavano qualche sciocchezza… da Codice penale…), via nelle Curie, via a Trieste, via a Roma a…batter cassa!!! Il sistema di chiedere aiuto ad alta voce con i protesti, che è durato qualche anno, alla fine ha funzionato: poiché l’Opera è divenuta d’importanza Sociale al punto d’essere riconosciuta come Ente Morale ed oggi gode di un contributo regionale per la scuola ed il suo funzionamento! Il saldo dei conti, però, giunge a pareggio sempre con la generosità dei molti che stimano la Casa dell’Immacolata.
Don Emilio non ha mai avuto il tempo di fare statistiche ma, si possono contare a migliaia i giovani che in questi 45 anni di Opere a San Domenico si sono avviati sulla strada della famiglia e del lavoro, e, più di qualcuno ha avviate iniziative industriali, artigianali o nel commercio, con buoni risultati. Adesso allora, col riconoscimento regionale, sono terminati tutti i problemi di don Emilio? Nemmeno per sogno, ci sono problemi adesso, più di prima: saranno diminuiti quelli della miseria materiale, ma sono cresciuti quelli più difficili della miseria morale: droghe, alcolismo, separazioni, profughi dal terzo mondo…ed anche a questi problemi don Emilio apre la sua casa e s’impegna con mani e cuore! E a coloro che si meravigliano della pazienza, della costanza e soprattutto della fiducia che Lui pone in persone con cui è difficile approcciarsi, dice: “ Io mi preoccupo solamente di star loro vicino, di non farli sentire soli. Tutti allora diventano e si sentono meglio, poco o tanto, ma meglio. L’importante è che non si sentano soli, perché anche loro sono figli di Dio, sono nostri fratelli”.
Tutte queste vicende sono state ricordate, con tanti altri particolari di vita vissuta nelle celebrazioni di Gurk e nella parrocchia di Urbignacco e Madonna, ove è intervenuto, il Sindaco a donare al reverendo don Emilio il “Sigillo del Comune di Buia” ed il Vicario foraneo a portare la benedizione del Papa ed un messaggio dell’Arcivescovo.
Don Emilio era accompagnato da un bel gruppo dei suoi ragazzi più vivaci.
L’atmosfera della ricorrenza è stata tutta improntata a ringraziare il Signore per il gran regalo accordatoci col donarci don Emilio che, per quanto scritto nel messaggio dell’Arcivescovo, ha operato affinché non si perdano nella nostra società i valori dell’amicizia, della fratellanza, della solidarietà, della fede “ soli valori che possono dare un futuro sereno all’umanità; questi sono gli amplissimi orizzonti dell’opera sociale del nostro monsignor Emilio, opere, vanto, cruccio, provocazione, per la città di Udine e per il nostro Friuli”.