Don Emilio De Roja: un prete di frontiera

Il 3 febbraio del 1992 moriva don Emilio De Roja, sacerdote, educatore e padre amorevole per migliaia di giovani diseredati e sbandati dando loro un alloggio, un mestiere e dignità.

Lo ha fatto dal 1945 fino alla sua morte, prima nella scuola “Arti e mestieri” dopo nella

“Casa Immacolata” edificata coi suoi giovani in borgo S. Domenico di Udine.

La sua è sempre stata una casa “aperta”, i ragazzi potevano andare e venire, bastava lo avvertissero.

Ma qualche volta non rientravano allora andava lui a cercarli, magari in questura per spiegar loro e cercando di convincerli a camminare sulla “strada grande”, l’unica che porta alla libertà e che anche la libertà ha il suo prezzo. Quando i “ragazzi” litigavano fra loro li ammoniva dicendo: “state buoni, se potete”.

Ha sempre dovuto, specialmente agli inizi, fare i conti con cambiali e varie scadenze e la Provvidenza è stata l’unica sua compagna di viaggio, l’unico grande “sponsor” di don Emilio.

Una volta, alla fine di un mese degli anni ’60, gli servivano sei milioni e lui non li aveva.

Gli servivano per il personale, bollette, fornitori e altre spese. Dove trovarli? Aveva telefonato, scritto e cercato dappertutto, la disperazione incombeva. Ma, ecco una telefonata. È la parrocchia di Villanuova di S. Daniele, è il parroco che gli comunica che una vecchietta del posto gli ha lasciati sei milioni e trecento mila lire. “Ma -risponde don Emilio- grazie, verrò a prenderli quando arriveranno, chissà quante scartoffie si dovranno compilare”. “No -gli risponde il parroco- l’eredità è in contanti, vieni su che te li do”. Don Emilio parte, arriva, il parroco conta il denaro e allorché arriva ai sei milioni gli fa cenno di fermarsi: “Le trecento mila lire che rimangono tienile tu, a me bastano sei milioni”.

Don Emilio era nato nel 1919 a Klagenfurt in una famiglia numerosa lassù emigrata ai primi del ‘900. Consacrato Sacerdote nel 1941, poco dopo venne nominato prefetto nel seminario di Castellerio. L’avventura di don De Roja era iniziata appena finita la guerra, quando l’arcivescovo Nogara lo manda cappellano a San Domenico, una borgata di gente povera, con case basse più baracche che case. Mentre stava costruendo la scuola “Arti e mestieri” diceva: “Dopo anni e anni di guerra è ora che i giovani imparino un mestiere”. Per costruire la scuola andava a chiedere soldi anche nelle osterie, anche nelle case dei comunisti, numerosissimi in zona. Lui non aveva soggezione, anzi, cercava di tirarli dalla sua parte.

Apparve così un articolo sul quotidiano locale: “Nella borgata più povera la scuola più bella”. Ma serviva una scuola che anche ospitasse gli “scolari”, così negli anni ’60 coi suoi giovani e aiutato da qualche benefattore, costruì la “Casa Immacolata” tanto che nel 1977 venne riconosciuta dalla Regione come I.P.A.B. -Istituto politico di assistenza e beneficenza- Una conquista. Arrivarono soldi per la formazione, cioè gli stipendi per gli insegnanti dei Corsi di falegnameria e saldatori. Ma, i soldi della Ragione vengono versati solamente per i ragazzi sotto ai diciotto anni. E gli altri che ne hanno di più? Don Emilio non ha preclusioni, il suo amore è senza limiti, lui arriva dove la legge non arriva. Così, quando anche il giudice no sa a che santo rivolgersi, poiché nessuna legge prevede soluzioni per quel tipo di disgrazie, affida il giovane a don Emilio.

E avanti, sempre avanti. Ora la “Casa Immacolata” è una realtà funzionante: dormitori, docce, la cucina, il refettorio e una cappella per la Madonna con un lumino sempre acceso. C’è pure un campo di calcio e la televisione. Adesso il tutto è abbastanza organizzato, il prete è contento anche se possiede un solo paio di scarpe, anche se la stanchezza pesa sempre più. E un giorno gli arriva anche un infarto. Ma cosa vuoi che sia! Bisogna andare avanti, accompagnare i ragazzi in montagna così un po’ si stancano e hanno meno voglia di sciocchezze. E in montagna si canta, poiché il canto induce allegria nel cuore. E gli arriva un secondo infarto. “Sta un po’ tranquillo” gli raccomanda sua sorella. Ma come poter stare tranquillo se nel Maggio del ’92 arriverà il Papa. Proprio qui, alla “Casa Immacolata”! Don Emilio si prepara a questa gioia immensa, è il riconoscimento del suo operato.

Ma il suo cuore è sempre più affaticato e, ai primi di febbraio, cede. Negli ultimi giorni, col poco respiro rimastogli, aveva affidato ad un amico un pensiero per il Papa: “Mi piacerebbe che il Papa, pellegrino di pace in nome di Cristo, stringesse a sé questa terra tormentata da una lunga storia di guerre…e che stringesse a sé anche i miei “ragazzi”, per loro ho lavorato cercando di dar loro quel che avevo e che sapevo”.

Fu anche un volontario per la libertà quando “la patria era sui monti” come ebbe a scrivere Chino Ermacora, amava il suo fazzoletto verde ed il motto della “Osoppo” “Per i nostri focolari”, ove il focolare è il simbolo della famiglia e la famiglia è la più importante culla per ogni uomo.

In prima fila per l’università con Tarcisio Petracco, fu tra i fautori di questa istituzione, poiché capiva l’importanza d’avere in Friuli una scuola che formasse la classe dirigente senza obbligare ad andare altrove per ottenere una laurea, un costo proibitivo per una famiglia friulana.

Dopo la sua morte è nata l’Associazione “Amici di don De Roja” la cui finalità è il sostegno della “Casa Immacolata” e di perpetuarne il nome.

Nella sera del 17 Giugno del 1999, nella sala della Fondazione C.R.U.P. L’Arcivescovo Battisti ha ufficializzato l’inizio del Processo di beatificazione presso la Santa Sede per un uomo, per un friulano (tale lui si sentiva), che è stato ed è un esempio, si può dire unico, di carità e solidarietà in questo secolo in Friuli.

Luciano Verona