Il ricordo dei ragazzi di don Emilio protagonisti dell’opera di soccorso ai terremotati
6 MAGGIO 1976 – 6 MAGGIO 2015
Nei giorni immediatamente successivi al terremoto don Emilio, in accordo con l’Arcivescovo mons. Alfredo Battisti, dispose che una buona parte dei suoi ragazzi si stabilisse nei locali della Curia di piazza Patriarcato: stava iniziando ad arrivare una enorme quantità di materiale di soccorso da tutta l’Italia e anche dall’estero e c’era l’assoluta necessità che qualcuno provvedesse a immagazzinare ordinatamente e poi a distribuire questi preziosi aiuti. I ragazzi trovarono sistemazione alla meglio nei vasti ed austeri locali del palazzo arcivescovile, spesso dormendo all’aperto nei sacchi a pelo, sotto lo sguardo attento e vigile di don Emilio, che riusciva a dormire solo qualche ora disteso su una brandina lì, negli uffici dell’Arcivescovado.
L’enorme afflusso di materiale (tende, coperte, vestiario, biancheria, generi alimentari, medicinali, prodotti per bambini) richiedeva un grande impegno per la selezione del materiale, il suo deposito, e soprattutto la distribuzione nelle località terremotate.
I ragazzi di don Emilio furono il nucleo forte e robusto di questa complessa macchina. Si dovettero anzitutto reperire i locali dove accumulare il materiale: furono utilizzate via via la chiesa di Sant’Antonio (che venne riempita di materassi fino al soffitto) poi quella del Seminario, si riempirono i capannoni di Casa dell’Immacolata, si occuparono i locali degli istituti religiosi vicini alla curia (Istituto Renati, Provvidenza, Dimesse), e altri locali ancora. I nostri ragazzi provvedevano a scaricare il materiale dai camion mentre un numeroso gruppo di religiose selezionava e immagazzinava. Bisognava anche provvedere a smaltire il materiale, soprattutto vestiario, inadatto o in condizioni non igieniche: fu trovata una fabbrica di Prato che si impegnò a ritirare a pagamento il vestiario scartato. Il ricavato veniva utilizzato per acquistare biancheria intima di cui vi era grande necessità.
Ovviamente poi bisognava corrispondere alle impellenti richieste che venivano dai paesi terremotati soprattutto da quelli più isolati. Fu fatta la scelta – e fu provvidenziale – di prendere come riferimento i parroci e le comunità di suore che in quegli anni erano presenti anche nelle borgate più piccole. Questo sistema ridusse al minimo il rischio di abusi o sprechi. Non ci risulta infatti ci siano state lamentele o polemiche a causa di una cattiva distribuzione degli aiuti. Questo lavoro richiedeva un continuo impegno dei ragazzi che, assieme agli altri volontari, con i poveri mezzi di Casa dell’Immacolata (un furgone e un autocarro) portavano nei vari paesi il materiale che veniva richiesto. Venne utilizzato anche il metodo di fornire il materiale direttamente alle persone che si presentavano ai vari depositi con un buono firmato dal proprio parroco: anche questo metodo si è rivelato utile per soddisfare le esigenze più pressanti risparmiando un po’ di lavoro ai ragazzi.
Il sistema deve aver funzionato bene perché anche il Commissario Straordinario Giuseppe Zamberletti stabilì che gli aiuti materiali pervenuti alla Prefettura si inserissero nel circuito creato dalla Curia.
Nella gara di solidarietà internazionale che coinvolse il mondo intero si distinse l’aiuto della Caritas tedesca: ogni settimana arrivavano due camion dalla Germania, carichi prevalentemente di cibo e prodotti per i bambini. Tutto questo materiale veniva fatto arrivare alla Casa dell’Immacolata dove i grandi autocarri tedeschi potevano facilmente parcheggiare ed essere scaricati dai ragazzi.
Giunsero anche gli alpini dell’ANA che si presentarono a don Emilio dicendo: “Abbiamo 1000 uomini pronti a lavorare, abbiamo bisogno di materiali ed attrezzature”. Don Emilio propose all’Arcivescovo di prelevare cinquecento milioni di lire dal fondo di solidarietà che veniva alimentato dalle offerte in denaro di tutto il mondo. E i cinquecento milioni furono subito utilizzati dagli alpini per sistemare le case di migliaia di famiglie friulane.
Negli uffici della curia si era creata una piccola, ma grande comunità: i giovani di don Emilio, assieme ad altri ragazzi, figli di famiglie più fortunate, sacerdoti e religiose, padri e madri di famiglia che dedicavano le giornate e le nottate, per scaricare un camion appena arrivato, o accogliere qualche personalità importante in visita, oppure portare con urgenza una tenda che serviva chissà dove per ospitare gente arrivata a lavorare. Ancora uomini e donne intenti a scrivere una lettera di ringraziamento per l’offerta del grande industriale oppure della bambina che inviava le sue poche lire.
Giunsero a migliaia volontari e hanno fatto quello che ancora oggi vediamo.
I ragazzi di don Emilio, certamente meno fortunati e più bisognosi di aiuto di tanti loro coetanei, furono il segno di questa grande opera di solidarietà, opera che oggi può apparirci quasi normale o scontata, ma che invece è frutto di quello che sempre meno osiamo chiamare un popolo. Un popolo dal quale escono uomini come don Emilio, che sono stati capaci di salvare la città dalla furia dei nazisti, e allo stesso modo avviare un imponente sistema per la distribuzione degli aiuti affidandosi proprio a quelli che normalmente vengono considerati un “peso” per la società. Grazie ragazzi di don Emilio.
Roberto Volpetti