Fine della seconda guerra mondiale, periferia di Udine: il Villaggio di San Domenico è un luogo di estrema povertà, sorto circa un decennio prima per ospitare gli sfollati, molti dei quali rimasti senza casa dopo la guerra del 1915 1918, in casette piccole e basse costruite su terreni dei lasciti comunali. Vi abita gente semplice di varia provenienza che, perlopiù, campa di espedienti. Accanto alle casette vi è una chiesetta, dedicata a San Domenico, che dipende dalla Parrocchia del Redentore: a celebrare viene mandato un cappellano, di solito un prete alle prime armi per farsi le ossa. L’ambiente è ostile: quando, alla fine del conflitto, le passioni politiche possono finalmente scatenarsi diviene un quartiere di comunisti e mangiapreti
Il cappellano don Abramo Freschi (che poi diventerà vescovo di Pordenone), già prima della guerra fatica a sostenere l’ostilità che lo circonda e lascia libero il posto. Anche il successivo, don Noè Clonfero, non riesce a migliorare la situazione. Mons. Nogara, che conosce bene il suo gregge, alla fine dell’estate del 1945 lo sostituisce con don de Roja, che si sistema nella piccola canonica assieme alla sorella più giovane, Annina, fresca di diploma magistrale. Mancano i mezzi economici, ma questo non ferma don Emilio: prima di tutto mette in ordine la piccola libreria, per favorire la lettura, poi grazie alla sorella avvia dei corsi di alfabetizzazione per coloro che ne avevano bisogno. In canonica organizza corsi di cucina ed economia domestica per le ragazze e una scuola di disegno per i maschi. All’attività formativa affianca conferenze, pratiche di pietà, competizioni sportive, gite turistiche, colonie estive.
Frequentando gli ufficiali del Comando inglese (gli Alleati rimasero in Friuli fino al 1947) scopre che alcuni di loro avevano fatto parte del movimento scout rimanendone entusiasti. Nasce così in don Emilio l’idea di promuovere la formazione dei giovani attraverso una forma di aggregazione che non sia strettamente confessionale. Avvalendosi dell’aiuto dei soldati Alleati per reperire il materiale necessario, dalle tende alle divise, presto don Emilio propone ai ragazzi di San Domenico la costituzione del reparto scout che si chiamerà Udine 1 e sarà effettivamente il primo reparto scout ad essere ricostituito dopo la Liberazione. L’attività è intensa, si cammina molto e innumerevoli sono i campeggi che le quattro squadriglie costituite allestiscono in Friuli. Nel 1946 don Emilio guida i ragazzi a Cercivento: sono i suoi “Cavalieri dell’ideale”. Nel 1947 organizza un incontro a Vedronza al quale partecipano il prefetto Candolini, l’Arcivescovo Nogara e il comandante inglese, colonnello Bright. Poichè il luogo è scosceso le tre autorità vengono trasportate con una portantina costruita dagli stessi ragazzi, con cui condividono una giornata indimenticabile. I ragazzi si divertono e si educano nello stesso tempo, crescendo nella fiducia in loro stessi e nel prossimo. Lo scoutismo diventa cos per il nuovo cappellano un vero e proprio metodo di educazione dei giovani all’amicizia e al senso di societ .
Una geniale intuizione di don Emilio, per il quartiere ma anche per l’intera città, è quella di comprendere che non c’è possibilità di riscatto senza un lavoro che aiuti i giovani a essere autonomi e a progredire. Nasce così la scuola di Arti e mestieri, che viene edificata in via Martignacco, anticipando una delle linee di espansione della città (di lì a poco infatti verrà aperto Viale Leonardo da Vinci e la Provincia realizzerà il Centro Studi). La costruzione dell’edificio non usufruisce di contributi se non quelli che vengono forniti dalla Provvidenza: donazioni, lavoro di decine e decine di parrocchiani volontari anche la domenica (“per fare del bene non si viola il precetto festivo” dice don Emilio). La scuola viene inaugurata il 17 aprile 1948 e il primo consiglio di amministrazione del Centro di Addestramento è composto dall’Arcivescovo, dal Presidente della Provincia, Candolini, dal Sindaco di Udine, Centazzo, dal presidente della Cassa di Risparmio, Livi. Alfredo Berzanti e don Aldo Moretti rivolgono un appello a sostenere quest’opera, descrivendo così don Emilio: “Apostolo generoso e ardito nel bene, tanto che è molto difficile restar freddi ed indifferenti nei suoi confronti.”
Il successo della Scuola d’arti e Mestieri fa sì che a essa si rivolgano ragazzi provenienti non solo da Udine ma dall’intera provincia, con la conseguente necessità di essere ospitati durante il periodo di formazione. Inizialmente don Emilio mette a disposizione le stanze della canonica, che possono accogliere una decina di ragazzi. Presto don Emilio decide di aprire un cantiere nuovo per costruire un locale dedicato ai suoi ospiti nei pressi della piccola chiesa di San Domenico, nel luogo ove oggi sorge la Comunità Piergiorgio. Lì il 14 gennaio 1952 nasce la Casa dell’Immacolata, primo nucleo di quello che oggi è il grande complesso di via Chisimaio. Cinque sono i soci fondatori: don Emilio, Olga Sabbadini, Noemio Bulfoni, Giuseppe Santolo e Renzo Sabbadini. Saranno loro a costituire il 9 agosto 1968 la Associazione Casa Immacolata e, il 18 aprile 1977, l’Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza di diritto pubblico.
“Don Emilio dà alla sua persona una funzione centrale nella Casa: si fa regola basata solo sul Vangelo, quindi per la massima valorizzazione della persona. Egli si affida tutto a Dio. La sua impresa agli occhi degli uomini è disperata e destinata a non aver frutto perchè i risultati sono pochi e parziali. Egli sostiene però di non esser chiamato a far miracoli, ma soltanto a dare una opportunità di riscatto a delle persone che non conoscono più il valore della vita e che si sono perdute. Solo il fatto di recuperare ai loro occhi il senso di taluni valori è un passo positivo, un vero successo. I fallimenti, è vero, si susseguono, ma non fanno storia, perchè don Emilio di fronte ad essi non si arrende, si ostina a voler trovare anche nell’animo più ostile una scintilla di bene. Lo straordinario sta nel fatto che egli non si basa su nulla di certo. Non ha donazioni, non ha lasciti, non ha promesse, non ha aiuti. E’ la follia di chi si affida soltanto alla Provvidenza, giorno per giorno. E la Provvidenza non lo delude mai. Il suo segreto è la preghiera, incessante, a modo suo, quasi da contemplativo puro: prega, infatti, con abbandono totale alla paternità di Dio ed alla maternità di Maria. La sua vita è tutta preghiera: per questo viene ascoltato.”
(R. Tirelli: Pag 171 – 172)